Il carradore e lo stalliere, desolati di vedersi sfuggire il viaggiatore, intervennero: «Era un spaventoso carrettone,» e poggiava direttamente sull'asse, «è vero che i sedili erano sospesi all'interno con bandelle di cuoio,» ma pioveva dentro, le ruote erano arrugginite e corrose dall'umidità, «non sarebbe andato più lontano del tilbury,» una vera carcassa, «quel signore avrebbe proprio avuto torto ad imbarcarsi,» eccetera.
Tutto ciò era vero; ma quel carrettone, quella carcassa, quella cosa, quale che fosse, scorreva su due ruote e poteva andare ad Arras.
Pagò quel che gli fu chiesto, lasciò in riparazione il tilbury presso il carradore, per ritrovarlo al suo ritorno, fece attaccare alla carrozzella il cavallo bianco, salì e riprese la strada seguita dal mattino. Nel momento in cui la carrozzella si mosse, confessò a se stesso d'aver avuto un momento prima una certa gioia, pensando che non sarebbe andato dov'era diretto; esaminò quella gioia con una specie di collera e la trovò assurda. Perché provar gioia nel tornare indietro? Dopo tutto, faceva quel viaggio liberamente e nessuno ve lo costringeva.
E certo, non sarebbe accaduto se non quello ch'egli avesse assolutamente voluto.
Mentre usciva da Hesdin, sentì una voce che gli gridava: «Ferma! Ferma!» fermò la carrozzella con un brusco movimento, che assomigliava alla speranza. Era il ragazzo della vecchia.
«Signore,» disse «sono stato io a procurarvi la carrozzella.»
«Ebbene?»
«Non m'avete dato niente.»
Egli, che dava a tutti e così facilmente, trovò quella pretesa esorbitante e quasi odiosa.
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Arras Hesdin
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