«Ah, sei tu, furfantello?» disse, «Ebbene, non avrai nulla.»
Frustò il cavallo e ripartì di gran trotto. Aveva perduto molto tempo a Hesdin ed avrebbe voluto riguadagnarlo; il cavallino era coraggioso e tirava per due. Ma si era nel mese di febbraio, aveva piovuto e le strade erano cattive, e poi non era più il tilbury ma una carrozzella dura e pesantissima. Inoltre, v'eran molte salite.
Impiegò circa quattro ore per andare da Hesdin a Saint-Pol: quattr'ore per cinque leghe. A Saint-Pol scese al primo albergo che vide e fece condurre il cavallo in scuderia come aveva promesso a mastro Scaufflaire, rimase vicino alla rastrelliera tutto il tempo durante il quale il cavallo mangiava, pensando a cose tristi e confuse.
La moglie dell'albergatore entrò nella scuderia.
«Non vuol far colazione, il signore?»
«To', è vero!» egli disse. «Ed ho anche un buon appetito.»
Seguì quella donna, dal viso fresco e giocondo; ed ella lo condusse in una sala a pianterreno dove si trovavano parecchie tavole, coperte di una tela cerata.
«Spicciatevi,» egli aggiunse; «debbo ripartire ed ho fretta.»
Una rubiconda serva fiamminga apparecchiò in fretta; egli guardava quella ragazza con un senso di benessere.
«Ecco che cosa avevo,» pensò. «Non avevo fatto colazione.»
Venne servito. Si gettò sul pane e ne morse un boccone; poi lo posò sulla tavola e non lo toccò più.
Un carrettiere stava mangiando ad un'altra tavola. Egli chiese a quell'uomo:
«Perché il loro pane è così amaro?»
Il carrettiere era tedesco e non comprese.
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