Tornò in scuderia, vicino al cavallo. Un'ora dopo aveva lasciato Saint-Pol e si dirigeva verso Tinques, a sole cinque leghe da Arras.
Che cosa faceva, durante quel tragitto? A che pensava? Come al mattino, guardava passare gli alberi, i tetti di stoppia, i campi coltivati, le sfumature del paesaggio, mutevole ad ogni palmo di percorso: contemplazione che talvolta basta all'anima e la dispensa quasi dal pensare. Che c'è di più malinconico e profondo del veder mille oggetti per la prima ed ultima volta? Viaggiare, è nascere e morire ad ogni istante. Forse, nella regione più vaga della sua mente, egli paragonava quegli orizzonti mutevoli all'esistenza umana. Tutte le cose della vita sono perennemente in fuga davanti a noi: ombre e luci s'intrecciano; dopo uno sfolgorìo, ecco una ecclisse; si guarda, ci si affretta, si stendon le mani per afferrare quello che passa; ogni evento è una svolta della strada; e all'improvviso, eccoci vecchi. Si sente come una scossa, tutto si oscura, si distingue una porta nera, quel cupo cavallo della vita che ci conduceva si ferma e si vede qualcuno, velato e ignoto che lo distacca nelle tenebre.
Cadeva il crepuscolo, quando alcuni ragazzi che uscivan di scuola notarono quel viaggiatore entrare a Tinques: si era ancora nelle giornate corte dell'anno. Egli non si fermò a Tinques. Mentre sboccava dal villaggio, uno stradino, che inghiaiava la strada, alzò il capo e disse:
«Ecco un cavallo che non ne può più.»
La povera bestia, infatti, andava solo al passo.
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