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      Egli disse al postiglione:
      «Sempre al trotto, e doppia mancia.»
      In un sobbalzo il bilancino si spezzò.
      «Signore,» disse il postiglione «s'è rotto il bilancino e non so più come attaccare il cavallo. Questa strada, di notte, è pessima; se voleste tornare a dormire a Tinques, potremmo essere ad Arras domattina, di buon'ora.»
      Egli rispose: «Hai un pezzo di corda e un coltello?»
      «Sì, signore.»
      Tagliò un ramo d'albero e ne fece un bilancino. Ancora una perdita di venti minuti, ma ripartirono al galoppo.
      La pianura era buia. Basse cortine di nebbia, brevi e scure, s'arrampicavano sulle colline e se ne alzavano come pennacchi di fumo. Nelle nubi apparivano bagliori biancastri; e un forte vento, che veniva dal mare, faceva, da ogni parte dell'orizzonte, un fracasso come se qualcuno trascinasse dei mobili. Tutto quel che s'intravedeva aveva un aspetto terrificante. Oh, quante cose fremono sotto gli ampi aneliti della notte!
      Il freddo gli penetrava nelle ossa. Non aveva mangiato dal giorno precedente e si ricordava vagamente l'altra sua corsa notturna nella grande pianura dei dintorni di Digne. Eran passati otto anni; e gli pareva fosse ieri.
      Suonarono le ore a un campanile lontano. Egli chiese al mozzo: «Che ora è?»
      «Le sette, signore. Saremo ad Arras alle otto: abbiamo solo tre leghe da fare.»
      In quel momento fece per la prima volta questa riflessione, trovando strano che non gli fosse balenata prima: che, forse, tutta la briga che si dava era inutile; che non sapeva neppur l'ora del processo; che almeno avrebbe dovuto informarsene; che era strambo l'andar così, sempre avanti, senza sapere se avrebbe servito a qualcosa.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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