Fatene, senza nulla insudiciare,
Ch'io li ricamerò poi, per benino.
«Il bimbo non c'è più. Che far, signora?»
«Fate un lenzuolo, che m'avvolga morta.»
Noi compreremo tante belle cose,
Mentre passeggerem lungo i sobborghi;
Azzurro è 'l fiordaliso e son le rose
Color di rosa: quanto t'amo, amore!
Questa canzone era una vecchia ninna nanna colla quale un tempo, faceva addormentare la sua piccola Cosette e non le era mai ritornata in mente durante i cinque anni passati da quando non aveva più la figlia. La cantava con una voce così triste e sopra un motivo così dolce, da far piangere anche una suora. La quale, avvezza alle cose austere, sentì una lagrima spuntarle negli occhi.
L'orologio suonò le sei; ma Fantine non parve sentire. Sembrava non facesse più attenzione a nulla, intorno a sé.
Suor Simplicia mandò una inserviente ad informarsi presso la portinaia della fabbrica se il sindaco fosse rincasato e non sarebbe salito presto all'infermeria. Tornò, in capo a pochi minuti: Fantine era sempre immobile e sembrava assorta in certe sue idee.
La serva raccontò a bassissima voce a suor Simplicia che il sindaco era partito quella mattina prima delle sei, in un piccolo tilbury tirato da un cavallo bianco, col freddo che faceva; ch'era partito solo, senza cocchiere, e non si sapeva che strada avesse presa; taluni dicevano d'averlo visto voltare verso la strada d'Arras, altri assicuravano d'averlo incontrato sulla strada di Parigi. Aggiunse che alla partenza era stato gentilissimo, come al solito, e che aveva soltanto detto alla portinaia di non aspettarlo quella notte.
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