Mentre le due donne, colle spalle volte al letto di Fantine bisbigliavano fra loro, la suora interrogando e la serva facendo congetture, Fantine, con quella vivacità febbrile di certe malattie organiche, la quale unisce l'agilità della salute alla spaventosa magrezza della morte, s'era messa in ginocchio sul letto, i pugni contratti e appoggiati alla traversa; e, sporgendo la testa fra le tendine, stava in ascolto. All'improvviso gridò:
«Voi state parlando del signor Madeleine! Perché parlate così sottovoce? Che cosa fa? Perché non viene?»
La sua voce era tanto aspra e rauca, che le due donne credettero di sentire la voce d'un uomo e si voltarono sbigottite.
«Rispondete, dunque!» gridò Fantine.
La inserviente balbettò:
«La portinaia m'ha detto che oggi non può venire.»
«Ragazza mia,» disse la suora «state tranquilla; ricoricatevi.»
Fantine, senza cambiare atteggiamento, riprese ad alta voce e con accento imperioso e straziante a un tempo:
«Non può venire? E perché? Voi sapete il motivo: lo stavate sussurrando fra voi. Voglio saperlo.»
La donna s'affrettò a dire all'orecchio della suora: «Rispondete ch'è occupato al consiglio municipale.»
Suor Simplicia arrossì lievemente: quello che le proponeva era una menzogna. D'altra parte, era convinta che dire la verità alla malata fosse certo un colpo terribile, una cosa grave, nello stato in cui si trovava Fantine. Ma quel rossore durò poco; la suora alzò su Fantine il suo sguardo calmo e triste, e disse:
«Il signor sindaco è partito.»
Fantine si rizzò a sedere sui talloni.
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