Era precisamente nel luogo dove i giudici deliberano e condannano, e guardava con ebete tranquillità quella stanza serena e terribile, dove tante esistenze erano state infrante, dove fra breve stava per echeggiare il suo nome e per il quale, in quel momento, transitava la sua esistenza. Guardava il muro e poi se stesso, meravigliandosi di quella e di sé.
Non aveva mangiato da più di ventiquattr'ore ed era rotto dai sobbalzi della carrozzella; ma non lo sentiva, non sentiva nulla.
S'avvicinò ad una cornice nera, appesa al muro, con sotto il vetro una vecchia lettera autografa di Gian Nicola Pache, sindaco di Parigi e ministro, e in data sbagliata 9 giugno, anno II; in essa il Pache mandava al comune la lista dei ministri e dei deputati tenuti in stato d'arresto al loro domicilio. Se un teste avesse potuto vederlo ed osservarlo in quel momento, avrebbe certo immaginato che quella lettera gli sembrasse stranissima, poiché non ne staccava lo sguardo e la rilesse due o tre volte, senza badarvi e senz'avvedersene: pensava a Fantine e a Cosette.
Pur continuando a fantasticare, si voltò ed i suoi occhi incontrarono il pomo di ottone della porta che lo separava dalla sala delle udienze. Il suo sguardo, calmo dapprima, vi si fermò, rimase fisso su quel pomo, poi sgomento e immobile, poco a poco si riempì di spavento; gli scendevan dai capelli, lungo le tempie, grosse gocce di sudore.
Ad un certo punto, fece con una autorità mista di ribellione quel gesto indescrivibile, che vuol dire e tanto bene: Perdio!
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