L'attenzione di tutti era intensa, il processo durava da ore, e da tre ore quella folla guardava piegarsi a poco a poco, sotto il peso d'una terribile verosimiglianza, un uomo, uno sconosciuto, una specie di miserabile, profondamente idiota o profondamente abile. Quell'uomo, è noto, era un vagabondo trovato in un campo, mentre portava via un ramo carico di mele, strappato ad un melo d'un orto vicino, detto l'orto Pierron. Chi era? Per tutta una inchiesta, i testimoni erano stati unanimi e la luce era scaturita da tutto il dibattimento. L'accusa diceva: «Non abbiamo còlto soltanto un ladro di frutta, un ladruncolo; abbiamo nelle mani un bandito, recidivo contravventore alla vigilanza, già detenuto, uno scellerato, dei più pericolosi, un malfattore di nome Jean Valjean, che la giustizia ricerca da molto tempo e che, otto anni or sono, appena uscito dal bagno di Tolone, commise una grassazione a mano armata sulla persona d'un fanciullo savoiardo di nome Gervasino, delitto previsto dall'art. 383 del codice penale, per il quale ci riserviamo di giudicarlo ulteriormente, quando l'identità sarà stata giuridicamente accertata. Ha commesso un nuovo furto; quindi è un caso di recidiva. Condannatelo per il reato nuovo: più tardi, sarà giudicato per gli antichi.» Ora, davanti a questa accusa, all'unanimità dei testimoni, l'accusato pareva soprattutto stupito; faceva gesti e segni che volevan dir no, oppure osservava il soffitto. Parlava con fatica, rispondeva con imbarazzo; ma tutta la sua persona, dalla testa ai piedi, negava.
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