L'avvocato, dunque, aveva incominciato col dare la spiegazione del furto delle mele, cosa difficile a farsi in bello stile; ma lo stesso Benigne Bossuet fu costretto a far allusione ad una gallina, in un'orazione funebre, e se la cavò con grande dignità. L'avvocato aveva dimostrato che il furto delle mele non era materialmente provato, poiché il suo cliente, ch'egli, nella sua qualità di difensore, persisteva nel chiamare Champmathieu, non era stato visto da nessuno a scalare il muro od a rompere il ramo. L'avevano arrestato perché in possesso di quel ramo (che l'avvocato chiamava più volentieri rama); ma diceva d'averlo trovato per terra e raccolto. Dov'era la prova del contrario? Certo, quel ramo era stato rotto e portato via mediante scalata, poi buttato a terra dal ladruncolo impaurito; un ladro v'era, certo. Ma cosa provava che quel ladro fosse Champmathieu? Un solo fatto: la sua qualità d'antico detenuto. L'avvocato non negava che questo apparisse disgraziatamente constatato: l'accusato aveva avuto residenza a Faverolles e là, era stato potatore; il nome di Champmathieu poteva bene aver le sue origini in Jean Mathieu. Tutto ciò era vero. Infine, quattro testimoni riconoscevano in Champmathieu, senza esitare, il galeotto Jean Valjean. A codesti indizi e testimonianze l'avvocato poteva solo opporre il diniego del suo cliente, diniego interessato; ma, anche supponendo ch'egli fosse il forzato Jean Valjean, forse ciò provava ch'egli fosse il ladro delle mele? Era una presunzione, al più, non una prova.
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