Cochepaille non era meno selvatico e sembrava ancor più stupido dell'accusato. Era uno di quei disgraziati che la natura ha abbozzato come bestie feroci e che la società finisce come galeotti.
Il presidente tentò di commuoverlo con alcune frasi patetiche e gravi e gli chiese, come agli altri due, se persistesse nel riconoscere, senza esitazione e senza turbamento, l'uomo che gli stava davanti.
«È Jean Valjean,» disse Cochepaille. «Lo chiamavano anzi Jean Martinello, tant'era forte.»
Ogni affermazione di quei tre uomini, evidentemente sinceri e in buona fede, aveva sollevato nel pubblico un mormorìo di brutto augurio per l'accusato, mormorìo che andava crescendo e prolungandosi sempre più, ogni qual volta una nuova dichiarazione veniva ad aggiungersi alla precedente. Quanto all'accusato, li aveva ascoltati con quel viso meravigliato che, secondo l'accusa, era il suo principale sistema di difesa. Alla prima, i gendarmi che gli stavano vicino l'avevano inteso brontolare fra i denti: «To'! E uno!» Dopo la seconda disse con voce un po' più alta, coll'aria quasi soddisfatta: «Bene!» alla terza, esclamò: «Meraviglioso!»
Il presidente l'interpellò:
«Avete inteso, accusato? Che avete da dire?»
Egli rispose: «Dico che è meraviglioso!»
Scoppiò nel pubblico un clamore, che s'estese quasi alla giuria. Era evidente che quell'uomo era perduto.
«Uscieri,» disse il presidente «fate far silenzio. Ora chiudo il dibattimento.»
In quel momento, a fianco del presidente, si produsse un movimento e si sentì una voce gridare:
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Jean Valjean Cochepaille Jean Martinello
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