«Vi ringrazio, signor avvocato generale, ma non sono pazzo. Lo vedrete subito. Eravate sul punto di commettere un grande errore. Lasciate andare quest'uomo; io compio un dovere perché sono quell'infelice condannato, sono il solo che ci veda chiaro, qui, e vi dico la verità. Quel che sto facendo in questo momento, Dio, che è lassù, lo guarda, e questo mi basta. Potete prendermi, poiché son qui. Pure, avevo fatto del mio meglio; mi sono nascosto sotto un altro nome; sono diventato ricco, sono diventato sindaco; ho voluto rientrare fra gli onesti. Pare che ciò non possa accadere. Infine vi son cose che non posso dire; non vi racconterò la mia vita. Un giorno si saprà. Ho rubato a monsignor vescovo, è vero; ho rubato a Gervasino, è vero: hanno avuto ragione di dirvi che Jean Valjean era un disgraziato molto cattivo. Forse, la colpa non è tutta sua. Uditemi, signori giudici: un uomo degradato come io sono, non ha nessuna rimostranza da fare alla provvidenza, nessun consiglio da dare alla società; ma, vedete? L'infamia dalla quale ho tentato d'uscire è dannosa. La galera fa il galeotto; tenete conto di ciò, se volete. Prima della galera, ero un povero contadino, pochissimo intelligente, una specie d'idiota; e la galera m'ha cambiato. Ero stupido e sono diventato malvagio; ero un ceppo e sono diventato tizzone. Più tardi, l'indulgenza e la bontà m'hanno salvato, come la severità m'aveva perduto. Ma scusatemi; voi non potete capire quello che sto dicendo. Troverete a casa mia, nella cenere del camino, la moneta da quaranta soldi rubata da me a Gervasino, sette anni or sono.
| |
Dio Gervasino Jean Valjean Gervasino
|