«Certo; ma ci vogliono almeno due o tre giorni.»
«Se fino allora ella non vedesse il signor sindaco,» riprese timidamente la suora «non saprebbe che è di ritorno, sarebbe facile farla pazientare e, quando la bimba fosse arrivata, penserebbe che il signor sindaco è arrivato colla figlia. Non ci sarebbero bugie da dire.»
Madeleine parve riflettere qualche istante; poi disse, colla sua calma gravità:
«No, sorella; bisogna che la veda. Forse, ho premura.»
La suora non parve rilevasse la parole «forse», che dava un senso oscuro e singolare alla frase del sindaco; rispose abbassando rispettosamente gli occhi e la voce:
«Riposa; ma il signor sindaco può entrare.»
Egli fece qualche osservazione sopra una porta che chiudeva male e col rumore poteva svegliare l'ammalata; poi entrò nella stanza di Fantine, s'avvicinò al letto e scostò le tendine. Ella dormiva: il respiro le usciva con quel penoso suono particolare di queste malattie, che strazia le povere madri quando, di notte, vegliano al capezzale del figlio condannato. Ma quella penosa respirazione turbava a stento una serenità ineffabile, diffusa sul volto di lei, che la trasfigurava nel sonno. Il suo pallore era diventato bianchezza, le gote porporine; le lunghe ciglia bionde, sola beltà che le fosse rimasta della sua verginità e della gioventù, palpitavano, anche chiuse e abbassate. Tutta la sua persona tremava, come scossa da un misterioso allargarsi d'ali, pronte ad aprirsi ed a portarla via, che si sentivan fremere, ma non si vedevano.
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Fantine
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