L'ordine d'arresto, firmato dall'avvocato generale, era così concepito: «L'Ispettore Javert s'impadronirà della persona di Madeleine, sindaco di Montreuil a mare, il quale, nell'udienza d'oggi, è stato riconosciuto essere il forzato Jean Valjean.»
Chi non avesse conosciuto Javert e l'avesse visto nel momento in cui entrò nell'anticamera dell'infermeria, non avrebbe potuto indovinar nulla di quanto stava accadendo e gli avrebbe trovato l'aria più solita del mondo; era freddo, calmo e grave, i grigi capelli perfettamente tirati sulle tempie, e aveva salito le scale colla consueta lentezza. Ma chi l'avesse conosciuto a fondo ed esaminato attentamente, avrebbe provato un senso di sbigottimento. La fibbia della sua cravatta di cuoio, anziché dietro la nuca, si trovava sotto l'orecchio sinistro, la qual cosa rivelava un'insolita agitazione.
Javert era un carattere completo, che non lasciava far una piega al suo dovere né alla sua uniforme, metodico cogli scellerati, rigido coi bottoni del suo vestito; ora, perché avesse mal affibbiato il fermaglio della cravatta, bisognava vi fosse in lui una di quelle emozioni che si possono chiamare terremoti interiori.
Era venuto senz'apparato; aveva requisito quattro soldati al posto vicino, li aveva lasciati in cortile e s'era fatto indicare la camera di Fantine dalla portinaia, che l'aveva indicata senza diffidenza, abituata com'era a vedere persone armate che chiedevano del sindaco.
Giunto alla camera di Fantine, Javert girò la maniglia, sospinse la porta colla delicatezza d'un infermiere o d'una spia ed entrò. Anzi, per dire il vero, non entrò: rimase in piedi nel vano della porta semiaperta, col cappello in testa e la mano destra infilata nella finanziera, abbottonata fino al mento.
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