«Salvatemi, signor Madeleine.»
Jean Valjean (non lo chiameremo più in altro modo, ormai) si era alzato e disse a Fantine, colla sua voce più dolce e più calma:
«State tranquilla, non viene per voi.»
Poi si rivolse a Javert e gli disse: «So che cosa volete.»
Javert rispose:
«Presto, andiamo!»
Vi fu nell'inflessione di voce che accompagnò quelle due parole una selvaggia frenesia. Javert non disse: «Presto, andiamo,» ma disse: «Ressadiamo!» Nessuna ortografia potrebbe rendere l'accento con cui la frase fu pronunciata; non era più una parola umana, ma un ruggito.
Contrariamente alla sua abitudine, non entrò nel merito della cosa, non mostrò il mandato di cattura; per lui, Valjean era una sorta di combattente misterioso e inafferrabile, un lottatore terribile ch'egli stringeva fra le braccia da cinque anni, senza poterlo atterrare; e quell'arresto non era un principio, ma una fine. Si limitò a dire: «Presto, andiamo!»
Non fece un passo, così parlando; ma gettò su Jean Valjean quello sguardo ch'egli gettava come un gancio e col quale era uso attrarre violentemente a sé i miserabili. Era quello stesso sguardo che Fantine aveva sentito penetrare fino nel midollo delle ossa due mesi prima.
Al grido di Javert, Fantine aveva riaperto gli occhi. Ma il sindaco era con lei: che cosa poteva temere, dunque?
Javert s'avanzò in mezzo alla stanza e gridò:
«Olà! Vieni, sì o no?»
La poveretta si guardò intorno. Non v'era nessun altro, all'infuori della suora e del sindaco: a chi poteva essere rivolto quell'abbietto tu confidenziale, se non a lei?
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