Fra le emozioni di quella giornata, la suora era ridiventata donna: aveva pianto e tremava.
Jean Valjean aveva scritto nel frattempo qualche rigo sopra un foglio, che porse poi alla suora, dicendo:
«Sorella mia, consegnerete questo foglio al curato.»
Il foglio era spiegato ed ella vi gettò un'occhiata.
Ella lesse: «Prego il signor curato di vegliare su quanto lascio qui e di volermi fare il favore di pagare con esso le spese del mio processo e la sepoltura della donna che è morta oggi. Il resto sarà per i poveri».
La suora volle parlare, ma poté solo a stento balbettare qualche suono inarticolato, pure riuscì a dire:
«Forse il signor sindaco desidera rivedere un'ultima volta quella povera disgraziata?»
«No,» egli disse: «m'inseguono e non vorrei che m'arrestassero nella sua camera. Ciò la turberebbe.»
Aveva a mala pena terminato, che un gran rumore si produsse sulle scale. Sentirono un tumulto di passi che salivano e la vecchia portinaia che diceva colla voce più alta e più acuta che poteva:
«Mio buon signore, vi giuro sul buon Dio che qui non è entrato nessuno in tutto il giorno e in tutta la sera e che io non ho mai abbandonato la porta!»
Un uomo rispose:
«Pure, in quella stanza v'è un lume.»
Riconobbero la voce di Javert.
La camera era disposta in modo che la porta, aprendosi, mascherava l'angolo del muro a destra, Valjean spense la candela e si ficcò in quell'angolo. Suor Simplicia cadde in ginocchio vicino alla tavola.
La porta s'aperse e Javert entrò. Si sentiva il bisbiglio di parecchi uomini e le proteste della portinaia nel corridoio.
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