Aveva fermato il cavallo ed era rimasto qualche tempo immobile, guardando i lampi, in ascolto del tuono; e quel fatalista era stato sentito gettare nelle tenebre questa misteriosa frase: «Siamo d'accordo.» Napoleone s'ingannava: non eran più d'accordo.
Non s'era concesso un minuto di sonno e tutti gli istanti di quella notte erano contrassegnati per lui da una gioia. Aveva percorso tutta la linea delle grandi guardie, fermandosi qua e là a parlare colle vedette; alle due e mezzo, vicino al bosco d'Hougomont, sentito il passo d'una colonna in marcia, aveva creduto per un momento che Wellington indietreggiasse, tanto che aveva detto a Bertrand: È la retroguardia inglese che indietreggia per svignarsela; farò prigionieri i seimila inglesi giunti testé da Ostenda. Discorreva con espansione ed aveva ritrovato la gaiezza dello sbarco del primo marzo, quando, accennando al gran maresciallo il contadino entusiasta del golfo Juan, aveva esclamato: Ebbene, Bertrand, ecco già un rinforzo! La notte dal 17 al 18 giugno, scherniva Wellington: Quell'inglesuccio ha bisogno d'una lezione, diceva Napoleone. La pioggia andava crescendo; mentre l'imperatore parlava, tuonava.
Alle tre e mezzo del mattino aveva perduto un'illusione: alcuni ufficiali mandati in ricognizione gli avevano annunciato che il nemico non faceva nessun movimento. Nulla si muoveva; non era stato spento un solo fuoco del bivacco. L'esercito inglese dormiva e il silenzio era profondo, sulla terra; rumore solo in cielo. Alle quattro, gli era stato condotto davanti dagli esploratori un contadino, che aveva servito di guida a una brigata di cavalleria inglese, probabilmente la Vivian, che si recava a prender posizione al villaggio d'Ohain, all'estrema sinistra.
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