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      Napoleone era avvezzo a guardar fisso la guerra; non faceva mai la straziante addizione in cifre del particolare; poco gl'importavano le cifre, purché dessero un totale: la vittoria. S'anco gli inizî erano malcerti, non se ne inquietava dal momento che si credeva signore e possessore della fine; sapeva attendere, credendosi imbattibile, e trattava il destino da pari a pari. Pareva dicesse alla sorte: «Non oserai.»
      Mezzo luce o mezzo ombra, Napoleone si sentiva protetto nel bene e tollerato nel male; aveva, o credeva dalla sua una connivenza, si potrebbe quasi dire una complicità degli eventi, equivalente all'antica invulnerabilità. Eppure, quando si ha dietro di sé la Beresina, Lipsia e Fontainebleau, sembra si possa diffidare di Waterloo. Un misterioso corrugar di sopracciglio diventa visibile sullo sfondo del cielo.
      Nel momento in cui Wellington rinculò, Napoleone trasalì. Vide d'un subito sguarnirsi la spianata di Mont-Saint-Jean e sparire la fronte dell'esercito inglese: esso si ricomponeva, ma si ritirava. L'imperatore si sollevò a metà sulle staffe e il lampo della vittoria gli passò nello sguardo.
      Wellington, addossato alla foresta di Soignes e distrutto, significava atterrare definitivamente l'Inghilterra da parte della Francia; significava la vendetta di Crécy, di Poitiers, di Malplaquet e di Ramillies. L'uomo di Marengo cancellava Azincourt.
      Allora l'imperatore, come se meditasse una eventualità terribile, puntò ancor una volta il cannocchiale su tutti i punti del campo di battaglia.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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