La sua guardia, coll'arme al piede, dietro di lui, l'osservava dal basso con una specie di venerazione; ed egli pensava. Esaminava i versanti, notava i pendii, scrutava i ciuffi d'alberi, i campi di segala, i sentieri, sembrava contasse ogni cespuglio. Guardò con una certa fissità le barricate inglesi delle due strade: due grandi abbattute d'alberi, quella della strada di Genappe, sotto la Haie-Sainte, armata di due cannoni, i soli di tutta l'artiglieria inglese che vedessero il fondo del campo di battaglia e quella della strada di Nivelles, dove luccicavano le baionette olandesi della brigata Chassé. Osservò vicino a quella barricata la vecchia cappella di Saint-Nicolas, dipinta in bianco, all'angolo della scorciatoia che va a Braine-l'Alleud, poi si chinò e parlò a bassa voce alla guida Lacoste; la guida rispose con un cenno del capo negativo, probabilmente perfido.
L'imperatore si risollevò e si raccolse.
Wellington aveva indietreggiato: restava soltanto da completare quella ritirata con una disfatta. Napoleone, volgendosi bruscamente, spedì a Parigi una staffetta a briglia sciolta, ad annunciarvi che la battaglia era vinta.
Napoleone era uno di quei genii da cui esce il tuono: aveva trovato in quel momento la sua folgore.
E diede ordine ai corazzieri di Milhaud d'impadronirsi della spianata di Mont-Saint-Jean.
IX • L'IMPREVISTOErano tremilacinquecento e tenevano una fronte d'un quarto di lega. Uomini giganteschi su cavalli colossali: ventisei squadroni in tutto. Dietro di essi in appoggio, la divisione di Lefebvre-Desnouettes, i centosei gendarmi scelti, i cacciatori della guardia, millecentonovantasette uomini, e i lancieri della guardia, ottocentottanta lance; portavan elmo senza criniera e corazza di ferro battuto, le pistole d'arcione nelle fonde e la lunga sciabola da taglio e da punta.
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