Ma che importava loro? Erano un turbine e il loro ardire divenne indescrivibile.
Oltre a ciò, avevan dietro di sé la batteria, sempre tuonante: e non ci voleva meno di questo, perché fossero feriti nella schiena. Una delle loro corazze, bucate alla scapola sinistra da una scheggia di mitraglia, è visibile nella collezione chiamata il museo di Waterloo.
Per simili francesi, non ci voleva meno di simili inglesi. Non fu più una mischia, ma una lava, una furia, un vertiginoso trasporto d'anime e di coraggio, un uragano di spade simili a lampi; in un attimo, i millequattrocento dragoni furono soltanto ottocento, e Fuller, il loro tenente colonnello, cadde morto. Ney accorse coi lancieri e coi cacciatori di Lefebvre-Desnouettes e la spianata di Mont-Saint-Jean fu presa e ripresa e ancor presa; i corazzieri lasciavan la cavalleria per tornare alla fanteria o, per dir meglio, tutto quel formidabile groviglio si batteva, senza che gli uni lasciassero andare gli altri. I quadrati resistevan sempre. Vi furono dodici assalti e Ney ebbe quattro cavalli uccisi sotto di lui; la metà dei corazzieri rimase sul campo, in quella lotta che durò due ore.
L'esercito inglese ne fu profondamente scosso. Non v'è dubbio che, se non fossero stati indeboliti al primo cozzo dal disastro della strada incassata, i corazzieri avrebbero sfondato il centro e decisa la vittoria. Quella cavalleria straordinaria fece rimanere di sasso Clinton, che pure aveva veduto Talavera e Badajoz; Wellington, vinto per tre quarti, ammirava con calma eroica e diceva a bassa voce: «Sublime!
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