Ci si schiaccia, ci si pigia, si cammina sui morti e sui vivi; le braccia sono come paralizzate e una vertiginosa moltitudine riempie le strade, i sentieri, i ponti, le pianure, le colline, le valli e i boschi, strabocchevolmente ingombrati da quell'evasione di quarantamila uomini. Urli, disperazioni, zaini e fucili buttati nei campi di segale, non più camerati, non più ufficiali, non più generali, uno spavento inesprimibile, Zieten che sciabola la Francia a suo piacimento, i leoni diventati pecore: ecco che cosa fu quella fuga.
A Genappe venne fatto un tentativo di resistere, di far fronte, di tener duro. Lobau riunì trecento uomini e venne barricato l'ingresso del villaggio; ma alla prima raffica della mitraglia prussiana tutti si diedero alla fuga e Lobau fu preso. Si vede ancor oggi quella scarica di mitraglia impressa sulle facciate d'una vecchia bicocca in mattoni, a destra della strada, pochi minuti prima d'entrare in Genappe. I prussiani si gettarono in Genappe, certo furiosi d'esser così poco vincitori, e l'inseguimento fu mostruoso, perché Blücher aveva ordinato lo sterminio. Era stato Roguet a dare quel tristo esempio di minacciare di morte qualunque granatiere francese che gli avesse portato un prigioniero prussiano: ma Blücher superò Roguet. Il generale della giovane guardia, Duhesme, addossato all'uscio d'un albergo di Genappe, cedette la spada a un ussaro della Morte, che la prese ed uccise il prigioniero. La vittoria finì coll'assassinio dei vinti. Poiché siamo la storia, puniamo: il vecchio Blücher si disonorò. Ma quella ferocia portò al colmo il disastro: la disperata rotta attraversò Genappe, attraversò Quatre-Bras, attraversò Gosselies, attraversò Frasnes, attraversò Charleroi, attraversò Thuin e si fermò solo alla frontiera.
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