E protesterà. Cerca allora una parola, come si cerca una spada, gli viene la bava alla bocca e quella bava è la parola. Al cospetto di quella vittoria prodigiosa e mediocre, davanti a quella vittoria senza vittoriosi, quel disperato si erge ritto; ne subisce l'enormità, ma ne constata la nullità; fa più che sputarle addosso e, sotto l'oppressura del numero, della forza e della materia, trova un'espressione all'animo: l'escremento. Ripetiamolo: dire cosa siffatta, far ciò, trovar ciò, significa esser vincitore.
L'anima dei grandi giorni entrò, in quel momento fatale, in quello sconosciuto. Cambronne trovò la parola di Waterloo come Rouget de l'Isle trovò la Marsigliese, per visitazione dell'alito divino; un effluvio dell'uragano celeste si stacca e viene a passare attraverso a quegli uomini ed essi trasaliscono ed uno canta il canto supremo, come l'altro getta il grido terribile. E quella parola dello sdegno titanico, Cambronne non la getta soltanto in faccia all'Europa in nome dell'impero, poiché sarebbe ben poca cosa; la getta al passato, in nome della rivoluzione. Si sente e si riconosce in Cambronne la vecchia anima dei giganti; sembra che sia Danton che parla o Kléber che rugge.
Alla parola di Cambronne, la voce inglese rispose: «Fuoco!» Le batterie avvamparono, la collina tremò e da tutte quelle bocche di bronzo uscì un ultimo vomito di mitraglia; una gran nube di fumo, vagamente rischiarata dalla luna nascente, roteò nell'aria e, quando il fumo fu dissipato, non v'era più nulla.
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