L'iron soldier vale l'iron duke. Per conto nostro, tutta la nostra esaltazione va al soldato inglese, all'esercito inglese, al popolo inglese; se v'è un trofeo, esso spetta all'Inghilterra. La colonna di Waterloo sarebbe più al giusto se, anziché la figura d'un uomo, sollevasse verso le nubi la statua d'un popolo.
Ma questa grande Inghilterra s'irriterà di quanto stiamo dicendo. Essa ha ancora, dopo il suo 1688 e il nostro 1789, l'illusione feudale, crede all'eredità ed alla gerarchia. Quel popolo, insuperabile in potenza e gloria, si stima come nazione, non come popolo; come tale, si sottomette volentieri e scambia un lord con una testa; workman, si lascia disprezzare, soldato, si lascia bastonare. Si ricorda che alla battaglia d'Inkermann un sergente il quale, a quanto sembra, aveva salvato l'esercito, non poté esser menzionato da lord Raglan, perché la gerarchia militare inglese non permette di citare in un rapporto alcun eroe, al disotto del grado di ufficiale.
Ma quello che ammiriamo sopra ogni cosa, in uno scontro del genere di quello di Waterloo, è la prodigiosa abilità del caso. Pioggia notturna, muro di Hougomont, strada infossata d'Ohain, Grouchy sordo al cannone, guida di Napoleone che l'inganna, guida di Bülow che l'illumina; tutto quel cataclisma è meravigliosamente condotto.
A conti fatti, diciamolo, vi fu più massacro che battaglia.
Di tutte le battaglie campali, Waterloo è quella che presenta la più piccola fronte, per un simile numero di combattenti.
Napoleone, tre quarti di lega e Wellington mezza lega, con settantaduemila soldati da ambo le parti.
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