Bonaparte mette un postiglione sul trono di Napoli e un sergente sul trono di Svezia, impiegando la disuguaglianza a dimostrar l'uguaglianza; Luigi XVIII, a Saint-Ouen, aggiunge la propria firma alla dichiarazione dei diritti dell'uomo. Se volete rendervi conto di quello che è la rivoluzione, chiamatela Progresso; ma se volete rendervi conto di quello che significa progresso, chiamatelo Domani; ora, il Domani compie irresistibilmente l'opera sua, e la comincia oggi, arrivando sempre al suo scopo, nei modi più strani. Si serve di Wellington per fare di Foy, ch'era solo un soldato, un oratore; Foy cede ad Hougomont e si rialza alla tribuna. Il progresso opera così e nessun utensile è cattivo per codesto operaio; adopera nel suo lavoro divino, senza sconcertarsi, l'uomo che ha scavalcato le Alpi e quel buon vecchio malato e male in gambe del padre Eliseo; si serve del podagroso al pari del conquistatore, questi all'esterno, quegli all'interno. Waterloo, troncando la demolizione dei troni europei per mezzo della spada, non ha altro effetto che di far continuare il lavoro rivoluzionario in un altro senso: gli sciabolatori hanno finito e viene la volta dei pensatori. Il secolo che Waterloo voleva fermare gli ha camminato sopra ed ha proseguito la sua strada; quella sinistra vittoria è stata vinta dalla libertà.
Insomma, incontestabilmente, ciò che trionfa a Waterloo, ciò che sorrideva a Wellington e gli recava in dono tutti i bastoni di maresciallo dell'Europa (compreso, a quel che si dice, il bastone di maresciallo di Francia), che spingeva giocondamente le carrettate di terra piena d'ossami per erigere la collinetta del leone, che scriveva trionfalmente su quel piedestallo questa data, 18 giugno 1815, che spingeva Blücher a sciabolare la disfatta e che dall'alto della spianata di Mont-Saint-Jean si chinava sulla Francia come su una preda, era la controrivoluzione, che mormorava la infame parola di smembramento; ma, giunta a Parigi, vide il cratere da vicino, sentì che quella cenere le scottava i piedi e si ravvide.
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