Trestaillon fu celebre; il motto non pluribus impar riapparve nei raggi di pietra che raffiguravano un sole, sulla facciata della caserma del lungo Senna d'Orsay, e dove era stata la guardia imperiale vi fu un codazzo di servi in livrea rossa. L'arco del Carosello, stracarico di vittorie poco sopportate, disorientato in mezzo a quelle novità e forse un po' vergognoso di Marengo e d'Arcole, si trasse d'impaccio colla statua del duca d'Angoulême. Il cimitero della Madeleine, la terribile fossa comune del 93, fu ricoperto di marmo e diaspro, perché le ossa di Luigi XVI e di Maria Antonietta giacevano in quella polvere; e nel fossato di Vincennes un cippo sepolcrale spuntò dal suolo, per ricordare che il duca d'Enghien era morto nello stesso mese in cui era stato incoronato Napoleone. Il papa Pio VII, che aveva fatto quella consacrazione così vicino a quella morte, benedisse tranquillamente la caduta, come aveva benedetto l'elevazione. Esisteva a Schoenbrunn una larva di quattro anni, che fu sedizioso chiamare il re di Roma. Queste cose si fecero e codesti re ripresero i loro troni, il padrone dell'Europa fu messo in una gabbia e l'antico regime divenne il nuovo e tutta l'ombra e tutta la luce della terra cangiarono posto, solo perché, nel pomeriggio d'un giorno estivo, un pastore disse a un prussiano, in un bosco: «Passate di qua, non di là!»
Quel 1815 fu una specie di mortifero aprile. Le vecchie realtà malsane e velenose si ricopersero di nuove apparenze; la menzogna sposò il 1789, il diritto divino si mascherò con una Carta, le bugie si fecero costituzionali, i pregiudizi, le superstizioni ed i secondi fini, coll'articolo 14 sul cuore, si verniciarono di liberalismo.
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