Abbiamo parlato della catastrofe della strada d'Ohain.
Il cuore si spaventa se pensa a quello ch'era stata la morte di tanti coraggiosi. Se v'è alcunché di spaventoso, se esiste una realtà che sorpassa il sogno, è questa: vivere, vedere il sole, essere in pieno possesso della forza virile, aver la salute e la gioia, ridere a gola spiegata, correre verso una gloria che si ha dinnanzi risplendente, sentirsi in petto polmoni che respirano, un cuore che batte e una volontà che ragiona, parlare, pensare, sperare e amare, aver una madre, una moglie, dei figli, la luce; e all'improvviso, il tempo di gettare un grido, meno d'un minuto, sprofondarsi in un abisso, cadere, rantolare, schiacciare ed essere schiacciato, vedere le spighe di frumento, i fiori, le foglie, i rami e non potersi aggrappare a nulla, sentire che la propria sciabola è inutile, sentire uomini sotto di sé e cavalli sopra, dibattersi invano, colle ossa rotte da qualche calcio nelle tenebre, sentire un tallone che vi fa schizzar gli occhi dall'orbita, mordere con rabbia i ferri dei cavalli, soffocare, urlare, contorcersi, esser lì sotto e dirsi: «E adesso adesso ero vivo!»
Là dove aveva rantolato quella deplorevole ruina, tutto taceva ormai. L'incassatura della strada in trincea era colma di cavalli e di cavalieri, inestricabilmente ammucchiati, in un viluppo terribile. Non v'era più scarpata: i cadaveri livellavano la strada colla pianura e giungevan all'orlo della scarpata, come uno staio d'orzo ben misurato. Un mucchio di morti nella parte alta, un fiume di sangue nella parte bassa: ecco cos'era quella strada, la sera del 18 giugno 1815. Il sangue colava fin sulla strada di Nivelles e vi s'allargava in una gran pozza davanti l'abbattuta d'alberi che sbarrava la strada, in una località che viene indicata ancor oggi; lo sprofondamento dei corazzieri, come si ricorderà, aveva avuto luogo al punto opposto, verso la strada di Genappe.
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Ohain Nivelles Genappe
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