«O bella!» disse il vagabondo. «È forse vivo, questo morto?» Vediamo.
Si chinò ancora, frugò nel mucchio, trasse da parte ciò che formava intoppo, afferrò la mano, strinse il braccio, liberò la testa e tirò il corpo; e pochi momenti dopo trascinava nell'ombra della strada incassata un uomo inanimato, per lo meno svenuto. Era un corazziere, un ufficiale ed anche d'un certo grado; una grossa spallina d'oro usciva di sotto la corazza; quell'ufficiale non aveva più elmo. Una furiosa sciabolata gli sfregiava il viso, sul quale non si vedeva che sangue; all'infuori di ciò, non sembrava che avesse alcun membro rotto e, per qualche caso fortunato (se pure questa parola è possibile qui), i morti avevan formato vòlta sopra di lui, in modo da preservarlo dall'essere schiacciato.
Portava sulla corazza la croce d'argento della legion d'onore; e il vagabondo gli strappò quella croce, la quale scomparve in uno degli abissi che s'aprivano sotto il suo cappotto. Dopo di che, palpò il taschino dell'ufficiale e, sentendo che v'era l'orologio, lo prese; poi frugò il panciotto, vi trovò una borsa e se la mise in tasca.
Mentre era a questa fase dei soccorsi che stava recando a quel moribondo, l'ufficiale aperse gli occhi.
«Grazie,» disse debolmente.
I bruschi movimenti dell'uomo che lo maneggiava, la frescura della notte e l'aria liberamente respirata l'avevan tolto al letargo in cui era immerso.
Il predone non rispose nulla. Sollevò il capo: si sentiva il rumore di passi nella pianura, probabilmente di qualche pattuglia che s'andava avvicinando.
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