Si fanno dunque enormi sforzi, poiché quelle buche, di solito, sono profondissime; si suda, si scava, si lavora una notte intera (queste cose si fanno di notte), s'inzuppa di sudore la camicia, si consuma la candela e si spunta la zappa e, quando finalmente si è giunti in fondo alla buca, che cosa si trova? Qual è il tesoro del diavolo? Un soldo, talvolta uno scudo, una pietra, uno scheletro, un cadavere insanguinato, talvolta uno spettro ripiegato in quattro, come un foglio di carta, talvolta niente. Proprio quel che sembrano annunciare ai curiosi indiscreti i versi di Trifone:
Fodit, et in fossa thesauros condit opaca,
As, nummos, lapides, cadaver, simulacra, nihilque.
Pare che ai nostri giorni vi si trovi anche, ora una fiaschetta da polvere colle palle, ora un vecchio mazzo di carte unte e rossastre, che ha evidentemente servito ai diavoli. Trifone non enumera affatto queste due ultime scoperte, visto ch'egli viveva nel dodicesimo secolo e non pare affatto che il diavolo abbia avuto l'abilità d'inventare la polvere prima di Ruggero Bacone e le carte da giuoco prima di Carlo VI.
Del resto, se si giuoca con quelle carte, si è sicuri di perdere quanto si possiede e, quanto alla polvere che è nella fiaschetta, ha la proprietà di farvi scoppiare il fucile in faccia.
Ora, pochissimo tempo dopo l'epoca in cui parve al pubblico ministero che il forzato liberato Jean Valjean durante la sua evasione di pochi giorni, avesse girovagato intorno a Montfermeil, fu notato in quello stesso villaggio che un vecchio stradino, di nome Boulatruelle, aveva qualche «intrigo» nel bosco.
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