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      Lo si vide vacillare e, mentre la moltitudine raccolta sul molo dell'arsenale gettava un grido, la testa trascinò il corpo e l'uomo girò intorno al pennone, colle mani stese verso l'abisso; afferrò, passando, il pènzolo, specie di predellino, prima con una mano e poi coll'altra, e vi rimase sospeso. Il mare era sotto di lui, ad una profondità vertiginosa. La scossa della caduta aveva impresso al pènzolo un violento movimento d'altalena e l'uomo andava e veniva all'estremità di quella corda, come la pietra d'una fionda.
      Recarsi in suo soccorso, voleva dire correre un rischio spaventoso; e nessuno dei marinai, tutti pescatori della costa, dell'ultima leva, osava avventurarvisi. Intanto l'infelice gabbiere si stancava: non si poteva scorgergli in viso l'angoscia, ma si distingueva lo sfinimento in tutte le membra. Le braccia gli si stendevano in un'orribile trazione, ma tutti gli sforzi che faceva per risalire non servivano che ad aumentare le oscillazioni del pènzolo: non gridava neppure, per timore di perder forza. Tutti aspettavan solo l'istante in cui le teste si voltavano altrove, per non vederlo passare. Vi son momenti in cui l'estremità d'una corda, una pertica, un ramo d'albero sono la vita stessa; ed è spaventoso veder un essere vivente staccarsene e cadere, come un frutto maturo.
      Ad un tratto, si vide un uomo arrampicarsi sull'attrezzatura coll'agilità d'un gattopardo. Era vestito di rosso, quindi era un forzato; portava il berretto verde, indizio di forzato a vita; e quando fu all'altezza della coffa, una ventata gli portò via il berretto e lasciò scorgere una testa canuta: non era dunque un giovane.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886