Un forzato, infatti, impiegato a bordo con una squadra di galeotti, era corso fin dal primo momento dall'ufficiale di quarto; e in mezzo al turbamento e all'esitazione dell'equipaggio, mentre tutti i marinai tremavano e indietreggiavano, aveva chiesto all'ufficiale il permesso di rischiar la vita per salvare il gabbiere. Al cenno affermativo dell'ufficiale, aveva spezzata con una martellata la catena ribadita all'anello che gli stringeva il piede, poi presa una corda s'era lanciato su per le sartie; nessuno, in quel momento, notò con quanta facilità fu rotta quella catena e solo più tardi la cosa fu osservata.
In un batter d'occhio fu sul pennone e vi si fermò pochi secondi, come misurandolo collo sguardo; quei secondi, durante i quali il vento dondolava il gabbiere all'estremità d'un filo, parvero secoli a coloro che guardavano. Infine il forzato levò gli occhi al cielo e fece un passo avanti. La folla respirò: fu visto percorrere il pennone di corsa e, giunto all'estremità, legarvi un capo della corda che aveva seco, lasciarne pendere l'altro capo e mettersi a discendere colle mani lungo quella corda. Fu un momento di inesprimibile angoscia: invece d'un uomo sospeso sull'abisso, ve n'eran due.
Si sarebbe detto un ragno che andasse ad afferrare una mosca, soltanto, in questo caso il ragno recava la vita e non la morte. Diecimila sguardi eran fissi su quel gruppo: non un grido, non una parola; la stessa ansia corrugava tutte le sopracciglia. Tutte le bocche trattenevano il fiato, come avessero temuto d'aggiungere il minimo soffio al vento che agitava i due infelici.
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