Nel frattempo il forzato era riuscito a calarsi vicino al marinaio. Era tempo: ancora un minuto e l'uomo, sfinito e disperato, si sarebbe lasciato cadere nell'abisso; ma il forzato l'aveva legato solidamente alla corda, tenendovisi aggrappato con una mano, mentre lavorava coll'altra. Infine lo si vide risalire il pennone e issarvi il marinaio; colà lo sostenne un momento, per lasciargli riprender le forze, poi lo prese fra le braccia e lo portò, camminando sul pennone, fino alle maschette e di là sulla coffa, dove lo depose fra le braccia dei suoi camerati.
In quell'istante la folla applaudì. Vi furono vecchi aguzzini che piansero; sul molo le donne s'abbracciavano e si udiron tutte le voci gridare, con una specie di furore intenerito: «La grazia a quell'uomo!»
Egli, tuttavia, s'era fatto un dovere di ridiscendere immediatamente, per raggiungere la sua squadra. Per giungere in basso più presto, si lasciò scivolare lungo l'attrezzatura e si mise a correre sopra un pennone basso. Tutti gli occhi lo seguivano. Ad un certo momento tutti ebbero paura: sia che fosse stanco sia che gli girasse al testa, parve di vederlo esitare e vacillare. All'improvviso la folla cacciò un urlo: il forzato era caduto in mare.
La caduta era pericolosa. La fregata Algesiras era ancora vicino all'Orione e il povero galeotto era caduto fra le due navi. V'era da temere che scivolasse sotto una o l'altra delle due navi e quattro marinai si gettarono in fretta in un'imbarcazione, mentre la folla li incoraggiava.
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Algesiras Orione
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