A me non piace aver da macinare il grano bretone, come ai segatori di tavole non piace segar travi dove ci sian chiodi piantati. Potete farvi un'idea della brutta polvere che questa roba dà di rendimento; e poi si lamentano della farina! Hanno torto: la farina non è colpa nostra.»
Fra due finestre un mietitore, seduto a tavola con un proprietario che contrattava per un lavoro di falciatura in primavera, diceva:
«Non è male che l'erba sia bagnata: si taglia meglio. La rugiada fa bene, signore. È lo stesso: quell'erba, la vostra, è giovane e ancora difficile; è così tenera, che si piega davanti alla lama della falce,» eccetera.
Cosette era al suo solito posto, seduta sopra la traversa del tavolo di cucina, vicino al camino; vestita di cenci, coi piedi nudi negli zoccoli, stava facendo alla luce del fuoco un paio di calze di lana, destinate alle piccole Thénardier. Si sentivan ridere e cinguettare in una stanza vicina due fresche voci di bimba: erano Eponina e Azelma.
Uno staffile era appeso a un chiodo, vicino al camino.
Di tanto in tanto, le grida d'un fanciullino, ch'era in qualche parte della casa, si facevan sentire in mezzo al chiasso della bettola. Era un bimbo che la Thénardier aveva avuto in uno degli inverni precedenti «senza saper perché», diceva, «per effetto del freddo» e che aveva poco più di tre anni. La madre l'aveva allattato, ma non l'amava; quando l'accanito strillare del marmocchio diveniva troppo importuno: «Tuo figlio strilla,» diceva Thénardier: «va' dunque a vedere che cosa vuole.
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Thénardier Eponina Azelma Thénardier Thénardier
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