Thénardier era un ometto magro e smilzo, angoloso, ossuto e striminzito, che aveva l'aspetto malaticcio e stava benone: di qui incominciava la sua furberia. Di solito sorrideva, per precauzione, ed era cortese pressappoco con tutti, perfino col mendicante al quale rifiutava un quattrino: aveva lo sguardo di una faina e la faccia da letterato. Somigliava molto ai ritratti dell'abate Delille. La sua civetteria consisteva nel bere coi carrettieri: nessuno era mai riuscito a ubriacarlo. Fumava in una gran pipa, indossava un camiciotto e, sotto, un vecchio abito nero; aveva qualche pretesa letteraria e materialistica, e v'erano nomi ch'egli pronunciava spesso, in appoggio delle cose che andava dicendo, come Voltaire, Raynal, Parny e, bizzarra cosa, sant'Agostino; oltre a ciò, affermava d'avere un «sistema». Del resto, scroccone emerito. Ci si ricorderà che pretendeva d'esser stato soldato; e andava raccontando con qualche lusso di particolari che a Waterloo, dov'era sergente in un 6° o in un 9° cacciatori qualunque, egli aveva da solo, contro uno squadrone d'ussari della Morte, fatto scudo del suo corpo «a un generale pericolosamente ferito», traendolo in salvo sotto la mitraglia; d'onde sulla facciata, la fiammeggiante insegna e, per l'albergo, tra la gente del paese, il nome di «osteria del sergente di Waterloo». Era liberale, classico e bonapartista ed aveva sottoscritto per il campo d'Asilo; nel villaggio si diceva che avesse studiato da prete.
Per conto nostro, crediamo semplicemente che avesse studiato in Olanda per essere albergatore.
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