Il notturno fremito della foresta l'avvolgeva completamente. Non pensava, non vedeva più: l'immensa tenebra era di fronte a quel minuscolo essere. Da una parte, tutta l'ombra: dall'altra, un atomo.
V'eran solo sei o sette minuti dal limitare del bosco alla sorgente. Cosette conosceva la strada per averla fatta molte volte di giorno e, cosa strana, non si smarrì: un residuo di istinto la guidava vagamente. Però ella non gettava occhiata alcuna né a destra né a sinistra, per timore di vedere qualche cosa fra i rami e nei cespugli; ed arrivò alla sorgente.
Era una piccola tinozza naturale, scavata dall'acqua nel suolo argilloso, profonda circa due piedi, circondata di muschio e di quelle grandi erbe dentellate chiamate collarini di Enrico IV e selciata intorno con alcune grosse pietre: un ruscelletto sgorgava da essa, con un tranquillo mormorìo.
Cosette non si concesse il tempo di respirare. Non si distingueva nulla, ma ella aveva l'abitudine di venire a quella fonte; cercò nel buio, colla mano sinistra, una giovane quercia inclinata sulla sorgente che le serviva di solito come punto d'appoggio, incontrò un ramo, vi si sospese e tuffò il secchio nell'acqua. Era tanto eccitata che le sue forze eran triplicate. Così china, non badò che il taschino del grembiule le si vuotava nella sorgente; la moneta da quindici soldi cadde in acqua ma Cosette non la vide e non la sentì cadere. Risollevò il secchio quasi pieno e lo posò sull'erba.
Fatto questo, s'accorse d'essere sfinita dalla stanchezza.
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Enrico IV Cosette
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