Conducimi là.»
«Ci stiamo andando,» disse la bambina.
L'uomo camminava piuttosto in fretta. Cosette lo seguiva senza stento e non sentiva più la fatica; di tanto in tanto, alzava gli occhi verso quell'uomo, con una specie di tranquillità e d'abbandono inesprimibile. Non le avevan mai insegnato a rivolgersi alla provvidenza ed a pregare; eppure sentiva in lei qualche cosa che assomigliava alla speranza e alla gioia e che saliva verso il cielo.
Passarono alcuni minuti. L'uomo riprese:
«Non v'è dunque donna di servizio, in casa della signora Thénardier?»
«No, signore.»
«E sei sola?»
«Sì, signore.»
Vi fu ancora un'interruzione, poi Cosette alzò la voce: «Cioè, ci sono due bambine.»
«Quali bambine?»
«Ponina e Zelma.»
La fanciulla semplificava in quel modo i nomi romantici, cari alla Thénardier.
«E chi sono, Ponina e Zelma?»
«Sono le signorine della signora Thénardier. Come chi dicesse le sue figlie.»
«E che cosa fanno, costoro?»
«Oh!» disse la bimba. «Hanno belle bambole, cose dove c'è l'oro, tutte piene di cose... Giocano e si divertono.»
«Tutto il giorno?»
«Sì, signore.»
«E tu?»
«Io? Lavoro.»
«Tutto il giorno?»
La bimba levò i suoi occhioni in cui v'era una lagrima, che non si vedeva per via del buio, e rispose dolcemente:
«Sì, signore.»
E proseguì, dopo un momento di silenzio:
«Certe volte, quando ho finito di lavorare e che me lo permettono, gioco anch'io.»
«E come giochi?»
«Come posso. Mi lascian fare; ma non ho molti giocattoli. Ponina e Zelma non vogliono che giochi colle loro bambole. Ho solo una sciabolina di piombo, lunga così.»
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