Il mercante che aveva chiesto il secchio d'acqua era andato a portarlo egli stesso al cavallo e Cosette aveva ripreso il suo posto sotto la tavola di cucina e il suo lavoro a maglia.
L'uomo, che aveva a mala pena bagnato le labbra nel bicchier di vino che s'era versato, osservava la bimba con una strana attenzione.
Cosette era brutta: felice, sarebbe forse stata graziosa. Abbiamo già dato lo schizzo di quella figurina triste. Cosette era magra e slavata; e sebbene avesse otto anni, gliene avrebbero a stento dati sei. I suoi occhioni, sprofondati in una specie d'ombra intensa, eran quasi spenti, a furia di aver pianto; gli angoli della bocca formavan quella curva dell'angoscia abituale, che s'osserva nei condannati e nei malati che hanno perduto ogni speranza; le mani, come sua madre aveva indovinato, sparivano sotto i geloni. Il fuoco che l'illuminava in quel momento faceva risaltare le sporgenze ossee e rendeva la sua magrezza spaventosamente visibile. Siccome tremava sempre dal freddo, aveva preso l'abitudine di stringere i ginocchi, l'un contro l'altro. L'intero suo vestito era un sol cencio, che avrebbe fatto compassione d'estate e faceva inorridire d'inverno; indossava soltanto tela bucata e non un filo di lana; le si vedeva la pelle qua e là e vi si distinguevan sopra, dappertutto, chiazze azzurrognole o nere che indicavano i punti in cui la Thénardier l'aveva colpita. Le gambe nude eran rosse ed esili e l'incavo delle clavicole tale da far piangere. Tutta la persona di quella bimba, il suo portamento, l'atteggiamento, il suono della voce, i suoi intervalli fra una parola e l'altra, lo sguardo, il silenzio, ogni suo minimo gesto esprimevano e traducevano una sola idea: la paura.
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Cosette Thénardier
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