«Che la cosa non ti succeda più!»
Cosette rientrò in quella che la Thénardier chiamava «la sua nicchia», ed il suo sguardo attonito, fisso sul viaggiatore sconosciuto, incominciò a prendere un'espressione che non aveva mai avuta; non era ancora se non uno stupore ingenuo, ma v'andava unita una specie di stupefatta fiducia.
«A proposito, volete cenare?» chiese la Thénardier al viaggiatore. Ma questi non rispose; pareva che pensasse profondamente.
«Che razza d'un uomo è, costui?» ella disse fra i denti. «È qualche spaventoso pitocco, che non ha un quattrino per cenare. Mi pagherà almeno la camera? Meno male che non ha avuto l'idea di rubare il denaro per terra.»
Intanto, s'era aperta una porta ed erano entrate Eponina ed Azelma. Erano proprio due graziose bimbette, più borghesi che contadine, bellissime a vedersi, l'una coi lucidi capelli castani ben raccolti sul capo, l'altra colle lunghe trecce nere che le ricadevano lungo la schiena; vivaci entrambe, pulite, grasse, fresche e sane da rallegrare la vista. Erano vestite da inverno, ma con tale arte materna, che lo spessore delle stoffe nulla toglieva alla civetteria dell'abbigliamento. L'inverno era stato previsto, senza che per questo la primavera ne scapitasse: quelle due piccine sprigionavan luce. Oltre a ciò, erano come in trono: nel loro abbigliamento, nella loro allegria e nel chiasso che facevano v'era la sovranità. Quando entrarono, la Thénardier disse loro in un tono di rimprovero pieno d'adorazione: «Oh, siete qui, dunque!
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Thénardier Thénardier Eponina Azelma Thénardier
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