Cosette, dunque, s'era fatta una bambola colla sciabola. Intanto la Thénardier s'era riavvicinata all'uomo giallo. «Mio marito ha ragione», pensava. «Magari è il signor Lafitte: ci son ricchi tanto burloni!»
E andò ad appoggiare i gomiti sul suo tavolo.
«Signore...,» disse.
A quella parola signore, l'uomo si volse. La Thénardier non l'aveva, fino allora, chiamato se non brav'uomo e galantuomo.
«Vedete, signore?» proseguì, assumendo un'aria dolciastra ancor più repugnante a vedersi della sua aria feroce. «Anche a me piace che la bimba giochi e non m'oppongo; ma va bene per una volta, perché voi siete generoso! Non ha nulla di suo, sapete? E bisogna che lavori.»
«Non è dunque vostra figlia, quella bambina?» chiese l'uomo.
«O mio Dio! No, signore: è una poveretta che abbiamo raccolto così, per carità, una specie d'idiota. Deve aver l'acqua nella testa; ha la testa grossa, come vedete. Facciamo per lei quel che possiamo, poiché non siamo ricchi. Ma abbiamo un bello scrivere al suo paese, perché sono sei mesi che non ci rispondono più. Bisogna dire che sua madre sia morta.»
«Ah!» disse l'uomo, ricadendo nella sua fantasticherìa.
«Non era niente di buono, quella madre,» aggiunse la Thénardier. «Abbandonava sua figlia.»
Durante quella conversazione, Cosette, come se un istinto l'avesse avvertita che parlavano di lei, non aveva distolto lo sguardo dalla Thénardier; ascoltava vagamente e sentiva qui e là alcune parole. Intanto i bevitori, ubriachi per tre quarti, ripetevano il loro immondo ritornello con maggior allegrezza: era un'oscenità di gusto sopraffino, nella quale eran frammischiati la Vergine e il bambino Gesù; e la Thénardier era andata a godersi la sua parte di quegli scoppi di risa.
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