Cosette, sotto la tavola, guardava il fuoco che si rifletteva nel suo occhio fisso e s'era rimessa a cullare quella specie di fantoccio che aveva fatto, cantando a bassa voce, mentre la cullava:
«Mia madre è morta! Mia madre è morta! Mia madre è morta!»
Finalmente, in seguito alle nuove insistenze dell'ostessa, l'uomo giallo, il «milionario» acconsentì a cenare.
«Che cosa vuole il signore?»
«Pane e formaggio.»
«È un pezzente, senza dubbio,» pensò la Thénardier.
Gli ubriachi cantavano sempre la loro canzone e Cosette, sotto la tavola, cantava la sua.
Ad un tratto, ella s'interruppe: nel volgersi, aveva scorto la bambola delle piccole Thénardier, ch'esse avevano abbandonata per il gatto, giacere a terra a pochi passi dal tavolo di cucina. Lasciò allora cadere a terra la sciabola fasciata, che le bastava solo a metà, e girò lentamente lo sguardo intorno alla sala. La Thénardier stava parlando a bassa voce col marito, contando un po' gli spiccioli. Ponina e Zelma giocavano col gatto, ed i viaggiatori mangiavano o bevevano o cantavano; nessuno sguardo era posato sopra di lei. Non vi era un momento da perdere. Uscì disotto alla tavola, strisciando sulle ginocchia e sulle mani, s'assicurò ancora una volta di non essere spiata, poi scivolò vivacemente fino alla bambola e l'afferrò; un momento dopo, era al suo posto, seduta e immobile, volta in modo, però, da proiettare l'ombra sulla bambola che teneva in braccio. Quella fortuna di giocare con una bambola era talmente rara per lei, che aveva tutta la violenza d'una voluttà.
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