Nessuno l'aveva vista, all'infuori del viaggiatore, che stava mangiando lentamente la sua magra cena.
Quella gioia durò circa un quarto d'ora. Ma, per quante precauzioni avesse preso Cosette, ella non s'era accorta che uno dei piedi della bambola passava e che il fuoco del camino lo rischiarava in pieno. Quel piede roseo e luminoso che usciva dall'ombra colpì all'improvviso lo sguardo d'Azelma, che disse ad Eponina: «To', sorella!»
Le due bimbe si fermarono stupefatte. Cosette aveva osato prendere la loro bambola!
Eponina s'alzò e, senza abbandonare il gatto, s'avvicinò alla mamma e si mise a tirarla per la sottana.
«Lasciami stare, dunque!» disse la madre. «Che vuoi da me?»
«Mamma,» disse la bambina «guarda, dunque!»
E accennava col dito Cosette.
Questa, tutta immersa nell'estasi del possesso, non vedeva e non sentiva più nulla.
Il viso della Thénardier prese quell'espressione particolare che è formata dall'orrore sovrapposto alle inezie della vita e che ha fatto dare a queste donne il nome di megere. Stavolta, l'orgoglio ferito esasperava ancor più la sua collera: Cosette aveva sorpassato ogni limite, Cosette aveva attentato alla bambola di «quelle signorine!»
Una zarina che vedesse un mugic provarsi il gran cordone azzurro dell'imperial figlio non potrebbe avere un viso diverso.
Ella gridò colla voce rauca: «Cosette!»
Cosette trasalì, come se la terra avesse tremato sotto di lei, poi si volse.
«Cosette!» ripetè la Thénardier.
Cosette prese la bambola e la posò dolcemente a terra, con una specie di venerazione mista a disperazione.
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