Cosette alzò gli occhi. Vide l'uomo venire verso di lei con quella bambola, come avrebbe visto venire il sole, intese quelle inaudite parole: è per te, guardò lui, guardò la bambola e poi, indietreggiando lentamente, andò a nascondersi sotto la tavola, in fondo in fondo, nell'angolo del muro. Non piangeva più, non gridava più, pareva che non osasse più fiatare.
La Thénardier, Eponina e Azelma erano tramutate in statue e perfino i bevitori s'eran fermati: in tutta la taverna s'era fatto un silenzio solenne.
La Thénardier, impietrita e muta, ricominciava le sue congetture: «Che cos'è mai questo vecchio? È un povero? È un milionario? Forse è l'uno e l'altro, vale a dire è un ladro.»
La faccia del marito Thénardier mostrò in quel momento quella ruga espressiva che accentua il viso dell'uomo ogni qual volta l'istinto dominante v'appare con tutta la sua bestiale potenza. Il taverniere andava osservando alternativamente la bambola e il viaggiatore e pareva annusasse quell'uomo, come avrebbe annusato un sacco di denaro; ma ciò ebbe la durata di un lampo ed egli, avvicinandosi alla moglie, le disse a bassa voce:
«Quell'arnese costa almeno trenta franchi. Non far sciocchezze: in ginocchio davanti a costui.»
Le nature grossolane hanno in comune colle ingenue la proprietà di non ammettere transizioni.
«Ebbene, Cosette,» disse la Thénardier con una voce voleva essere dolce ed era tutta fatta del miele aspro delle donne cattive «non prendi dunque la tua bambola?»
Cosette s'arrischiò ad uscire dal suo buco.
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