«Mia piccola Cosette,» riprese la Thénardier con aria carezzevole «il signore ti regala una bambola. Prendila: è tua.»
Cosette osservava la meravigliosa bambola con una specie di terrore. Il viso di lei era inondato di lagrime, ma i suoi occhi incominciavano a riempirsi, come il cielo al crepuscolo mattutino, degli strani raggi della gioia. In quel momento ella provava qualcosa di simile a quello che avrebbe provato se le avessero detto bruscamente: «Piccina, voi siete la regina di Francia.»
Le pareva che se avesse toccato quella bambola, ne sarebbe uscito il tuono: cosa vera fino ad un certo punto, poiché ella diceva fra sé che la Thénardier l'avrebbe sgridata e magari battuta. Pure l'attrazione la vinse e finì per avvicinarsi, mormorando timidamente, rivolta alla Thénardier:
«Posso, signora?»
Nessuna espressione saprebbe rendere quel tono, ch'era ad un tempo disperato, sbigottito ed estatico.
«Perdio!» fece la Thénardier. «Dal momento che il signore te la regale, è tua.»
«Davvero, signore?» riprese Cosette. «È proprio vero? È mia, la signora?»
Pareva che il forestiero avesse gli occhi pieni di lagrime e fosse a quel punto della commozione in cui non si parla per non piangere. Fece un cenno del capo a Cosette e pose la mano della «signora» nella manina di lei.
Cosette ritirò vivacemente la mano, come se quella della signora scottasse e si mise a guardare il pavimento; siamo pure costretti a dire che in quel momento ella cacciava fuori la lingua smisuratamente. All'improvviso si voltò e afferrò la bambola con impeto.
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