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      Tutto era scuro, ripugnante, scialbo, malinconico e sepolcrale; i locali erano attraversati, secondoché le fessure eran nel tetto o nella porta, da freddi raggi di luce o da soffi d'aria gelidi. Una particolarità interessante e pittoresca di quel genere d'abitazione, era l'enormità dei ragni.
      A sinistra della porta d'ingresso, sul viale, ad altezza d'uomo, un finestrino murato formava una nicchia quadrata, piena di sassi che i ragazzi vi gettavano, di tanto in tanto.
      Una parte di quel fabbricato è stata demolita recentemente e quel che oggi ne rimane può ancora lasciar giudicare di quello che fosse. Tutto quell'edificio, preso nel suo insieme, non ha più d'un centinaio d'anni: ma cento anni sono la vecchiaia, per una casa, sebbene siano la gioventù, per una chiesa. Sembra che la dimora dell'uomo partecipi della sua brevità, la casa di Dio della sua eternità.
      I portalettere chiamavano quella topaia il numero 50-52 ma nel quartiere essa era nota sotto il nome di casa Gorbeau. Diremo qui donde le veniva quella denominazione.
      I raccoglitori di fatterelli, erborizzatori d'aneddoti, che infilzano nella loro memoria le date fugaci con uno spillo, sanno che a Parigi, nel secolo scorso, verso il 1770, v'erano due procuratori del Castelletto, che si chiamavano, l'uno Corbeau, ovvero Corvo e l'altro Renard, vale a dire Volpe: due nomi preveduti da La Fontaine. L'occasione era troppo bella perché la rispettabile comunità degli scrivani del Palazzo di Giustizia non se ne impadronisse, e subito la parodìa corse, in versi un po' zoppicanti, le gallerie del Palazzo:


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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