Fin dove lo sguardo poteva spaziare, si scorgevan solo gli ammazzatoi, il muro di cinta e poche rare facciate d'officina, simili a caserme ed a monasteri; baracche e rottami dappertutto, vecchi muri neri come drappi funebri, muri nuovi, bianchi come un sudario; dappertutto filari di alberi paralleli, costruzioni tirate a squadra, edifici piatti, lunghe linee fredde e la lugubre tristezza degli angoli retti. Non un accidente del terreno, non un capriccio architettonico, non una grinza: era un complesso gelido, regolare e orrido. Non v'è nulla che stringa il cuore più della simmetria, poiché essa è noia, il fondo stesso del dolore; la disperazione sbadiglia. Si può pensare a qualche cosa di più terribile d'un inferno in cui si soffre, ed è quello in cui ci si annoia. Se quest'inferno esistesse, quel pezzo del viale dell'Ospedale avrebbe potuto esserne l'ingresso.
Tuttavia, al cader della notte, nel momento in cui la luce se ne va, e soprattutto d'inverno, nell'ora in cui le brezze del crepuscolo strappan agli olmi le loro ultime foglie rossastre, quando l'oscurità è profonda e senza stelle, o la luna e il vento bucan le nubi, quel viale diventava spaventevole. Le linee dritte si sprofondavano e si perdevano nelle tenebre, come tronconi dell'infinito; e il passante non poteva far a meno di pensare alle innumerevoli tradizioni patibolari del luogo. La solitudine di quella località dov'eran stati commessi tanti delitti aveva alcunché di spaventoso; sembrava di presentire un agguato in quell'oscurità, tutte le forme confuse dell'ombra sembravano sospette e gli ampi intervalli quadrati che si scorgevan fra albero e albero sembravano fosse.
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Ospedale
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