Di giorno, era brutto, di sera, lugubre; di notte, sinistro.
D'estate, sul crepuscolo, si vedeva qua e là qualche vecchia, seduta ai piedi degli olmi, sur una panca infradiciata dalla pioggia. Quelle vecchie mendicavano volentieri.
Del resto, quel quartiere, che aveva piuttosto l'aspetto vecchiotto che antico, tendeva fin d'allora a trasformarsi e, già a quell'epoca, chi voleva vederlo doveva far presto. Ogni giorno qualche parte di quel complesso se ne andava. Oggi, da vent'anni a questa parte, sorge là la stazione della ferrovia d'Orléans, a fianco del vecchio sobborgo, e lo modifica; poiché ovunque si pone, sul limitare di una capitale, la stazione della ferrovia, muore un sobborgo e nasce una città. Sembra che intorno a questi grandi centri del movimento dei popoli, sotto la corsa di quelle possenti macchine, sotto il soffio di quei mostruosi cavali della civiltà che mangiano carbone e vomitano fuoco, la terra piena di germi frema e s'apra, per inghiottire le vecchie dimore degli uomini e lasciar uscire le nuove.
Da quando la stazione dei treni d'Orléans ha invaso i terreni della Salpêtrière, le antiche viuzze contigue ai fossati di San Vittore e al Giardino Zoologico sussultano, violentemente attraversate come sono, tre o quattro volte al giorno, da quelle correnti di diligenze, di vetture da piazza e d'omnibus che, un dato momento, respingono le case a destra e a sinistra. Poiché certe cose, bizzarre ad enunciarsi, sono rigorosamente esatte; e come è vero il dire che nelle grandi città il sole fa vegetare e crescere le facciate delle case volte a mezzogiorno, così è certo che il passaggio frequente dei veicoli allarga le vie.
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