Quel passo s'avvicinava. Egli balzò dal letto e mise l'occhio al buco della serratura, ch'era piuttosto ampio, nella speranza di veder passare quel qualunque essere che s'era introdotto di notte nella stamberga e aveva origliato alla sua porta. Davanti la porta della camera di Jean Valjean passò infatti, ma stavolta senza fermarsi, un uomo; il corridoio era troppo buio perché si potesse distinguere il viso, ma quando l'uomo giunse sulla scala, un raggio di luce che veniva di fuori ne fece risaltare il profilo e Valjean lo vide completamente da tergo. L'uomo era d'alta statura, vestito con una lunga finanziera, con una mazza sotto il braccio: era il formidabile ceffo di Javert.
Jean Valjean avrebbe potuto cercare di rivederlo dalla finestra che dava sul viale, ma sarebbe stato necessario aprire quella finestra e non osò farlo.
Era evidente che quell'uomo era entrato con una chiave e come se fosse in casa sua. Chi gli aveva dato quella chiave? E che cosa voleva dire tutto ciò?
Alle sette del mattino, quando la vecchia venne a riassettare la stanza, Valjean le gettò un'occhiata penetrante, ma non l'interrogò. La buona donna era come di consueto; mentre stava scopando, gli disse:
«Ha forse sentito, il signore, qualcuno che entrava stanotte?»
In quella stagione e su quel viale, le otto di sera sono la notte più nera.
«A proposito, è vero!» rispose egli, coll'accento più naturale. «E chi era dunque?»
«È un nuovo inquilino,» disse la vecchia, «che abita nella casa.»
«Come si chiama?»
«Non lo ricordo bene.
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