Una di quelle facciate proiettava sull'altra la sua ombra, che ricadeva nel giardino come un enorme lenzuolo nero.
Non si scorgeva alcuna altra casa e il fondo del giardino si perdeva nella nebbia e nell'oscurità; pure, vi si distinguevano confusamente altri muri che s'intersecavano, come se al di là vi fossero altri luoghi coltivati, ed i bassi tetti della via Polonceau.
Non si poteva immaginare nulla di più selvatico e di più solitario di quel giardino. Non v'era nessuno, cosa naturale a quell'ora; ma non pareva che quel sito fosse fatto perché qualcuno vi passeggiasse, neppure in pieno meriggio.
La prima cura di Jean Valjean era stata di ritrovare le scarpe e ricalzarle, poi d'entrare nel ripostiglio, con Cosette: chi fugge non crede mai d'essere abbastanza nascosto. La bimba, che pensava sempre alla Thénardier, condivideva l'istinto di lui, di rannicchiarsi quant'era possibile; tremava e gli si stringeva contro. Si sentiva il rumore tumultuoso della pattuglia che perquisiva il vicolo e la via, oltre a quello dei calci dei fucili, dei richiami di Javert alle spie da lui messe in agguato e delle sue imprecazioni, frammiste a parole che non si distinguevano.
In capo a un quarto d'ora, parve che quella specie di brontolìo temporalesco incominciasse ad allontanarsi. Valjean non fiatava e aveva dolcemente posato una mano sulla bocca di Cosette.
Del resto, la solitudine in cui si trovava era così stranamente calma, che quell'orribile fracasso, tanto furioso e vicino, non vi gettava neppur l'ombra d'un turbamento; sembrava che quei muri fossero costruiti con le pietre sorde di cui parla la Scrittura.
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