Quel palco in cui ci si trovava era il parlatorio, e quella voce, la prima che vi aveva parlato, era la voce della monaca addetta alla ruota, che stava sempre seduta, immobile e silenziosa, dall'altra parte del muro, vicino all'apertura quadrata, difesa dalla grata di ferro e dalla lastra dai mille fori, come da una doppia visiera. L'oscurità in cui era immerso il palco ingraticciato proveniva dal fatto che il parlatorio aveva una finestra dalla parte del mondo, ma non ne aveva alcuna dalla parte del convento: gli occhi profani non dovevan nulla vedere di quel luogo sacro.
Pure, al di là di quell'ombra, vi era qualche cosa: vi era una luce. E in quella morte, una vita. E sebbene quel convento fosse il più murato di tutti, noi cercheremo di penetrarvi e di farvi penetrare il lettore per dire, in breve, alcune cose che i narratori non hanno mai viste e quindi mai raccontate.
II • LA REGOLA DI MARTIN VERGAQuel convento, che nel 1824 esisteva già da molti anni nel vicolo Picpus, era una comunità di bernardine della regola di Martin Verga. Quelle bernardine, quindi, derivano non già da Claivaux, come i bernardini, ma da Cîteaux, come i benedettini; in altri termini erano soggette, non a san Bernardo, ma a san Benedetto.
Chiunque abbia un poco sfogliato qualche in-folio sa che Martin Verga fondò nel 1428 una congregazione di bernardine benedettine, che ebbe per casa madre Salamanca e per succursale Alcalà. Questa congregazione ramificò poi in tutti i paesi cattolici dell'Europa.
Nella chiesa latina, codesti innesti d'un ordine sull'altro non hanno nulla d'insolito.
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