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      Si fa la colpa per inezie: un vetro rotto, un velo lacerato, un ritardo involontario di pochi secondi all'ufficio, una nota stonata in chiesa, eccetera, è quanto basta per fare la colpa. La colpa è affatto spontanea, poiché è la stessa colpevole (qui la parola è etimologicamente a posto) che si giudica e s'infligge la pena. Nei giorni di festa e le domeniche quattro madri cantore salmodiano gli uffici davanti a un grande leggìo a quattro posti; un giorno, una madre cantora intonò un salmo che incominciava con Ecce e, invece di Ecce, disse ad alta voce queste tre note: ut, si, sol. Orbene; per quella distrazione, ella subì una colpa che durò per tutto l'ufficio. Quel che rendeva enorme la colpa, era il fatto che il capitolo aveva riso.
      Quando una suora è chiamata in parlatorio, foss'anche la superiora, abbassa il velo in modo, come ci si ricorderà, da non lasciar vedere che la bocca. Solo la superiora può comunicare cogli estranei; le altre possono soltanto vedere i loro più stretti parenti, e molto di rado. Se per caso una persona forestiera si presenta per vedere una suora che ha conosciuta o amata nel secolo, è un affare di stato. Se è una donna, l'autorizzazione può talvolta essere accordata; e la suora viene a parlarle attraverso le imposte, che s'aprono solo per una madre o per una sorella. Non occorre dire che il permesso è sempre rifiutato ad un uomo.
      Siffatta è la regola di san Benedetto, aggravata da Martin Verga. Quelle suore non sono affatto allegre, colorite e prospere come sono spesso le religiose degli altri ordini: sono pallide e gravi.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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