Nei primi tempi, eran le stesse suore che prestavan loro l'abito nero, ma la cosa parve profana e la superiora lo vietò, permettendo il prestito solo alle novizie. È da notarsi che siffatte rappresentazioni, certamente tollerate e incoraggiate nel convento per un segreto spirito di proselitismo e per ispirare a quelle fanciulle il gusto del santo abito, erano per le collegiali una felicità reale ed una vera ricreazione. Esse ne facevano un semplice divertimento: «Era una novità e le svagava.» Candide ragioni dell'infanzia, che pure non riescono a far capire a noi, mondani, la felicità di tenere in mano un aspersorio e di stare in piedi per ore ed ore, cantando in quattro davanti a un leggìo.
Le allieve, all'infuori delle mortificazioni, si conformavano a tutte le pratiche del convento. V'è stata una giovane sposa che, entrata nel mondo, e dopo parecchi anni di matrimonio, non era ancor riuscita a perder l'abitudine di dire in gran fretta, ogni volta che veniva bussato alla sua porta: Sempre sia. Al pari delle suore, le collegiali vedevano i genitori solo al parlatorio e le loro stesse madri non ottenevano di poterle abbracciare. Ecco fino a qual punto giungeva la severità in proposito: un giorno, una giovinetta fu visitata dalla madre, accompagnata da una sorellina di tre anni. La giovinetta piangeva, perché avrebbe molto desiderato di abbracciare la sorella: impossibile. Supplicò che fosse almeno permesso alla bimba di passare attraverso alle sbarre la manina, per poterla baciare; le fu rifiutato, quasi fosse uno scandalo.
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