V'erano in quel tetro giardino gioventù, salute, rumore, gridi, stordimento, piacere e felicità, da rallegrare tutte le avole, quelle dell'epopea e quelle della favola, del trono e della capanna, da Ecuba alla nonna.
In quella casa sono state dette, forse più che in qualunque altro luogo, certe frasi fanciullesche piene di grazia che fanno ridere e fantasticare. Fu ben là, fra quei quattro muri funebri, che una bimba di cinque anni esclamò un giorno: «Madre! Una grande mi ha detto adesso che ho soltanto nove anni e dieci mesi da star qui: che gioia!»
E là pure si svolse questo dialogo memorabile:
una madre vocale. «Perché piangete, bimba mia?»
La bimba (sei anni), singhiozzando. «Ho detto ad Alice che sapevo la storia di Francia. Mi dice che non la so, e io la so.»
Alice (la grande, nove anni). «No, non la sa.»
La madre. «E come mai, bambina mia?»
Alice. «Mi ha detto d'aprire il libro a caso e di farle una delle domande che ci sono nel libro e che m'avrebbe risposto.»
«Ebbene?»
«Non ha risposto.»
«Vediamo: che cosa le avete chiesto?»
«Ho aperto il libro a caso, come mi diceva, e le ho fatto la prima domanda che ho trovata.»
«E che domanda era?»
«Era: 'Che cosa successe, dopo?'»
Là è stata fatta questa profonda osservazione sopra un pappagallo un po' goloso, che apparteneva ad una signora ritiratasi in pensione presso le suore: «Com'è educato! Mangia ciò che copre la sua fetta di pane, come una persona!»
Su una lastra del pavimento di quel chiostro è stata raccolta questa confessione, scritta prima, per non dimenticarla, da una peccatrice settenne:
| |
Ecuba Alice Francia
|